Portò le mani sui miei fianchi, spostando leggermente
le mie braccia attorno al suo collo.
Era bellissimo, con quella camicia azzurra che a me piace tanto e i capelli
un po’ scompigliati.
La dolce melodia di One degli U2 si diffuse per tutta la stanza di
quell'accogliente mansarda.
Il tavolo al centro dell’abitacolo era ricoperto da libri e quaderni pieni
di formule ed esercizi abbozzati qua e là.
Era stanco, a forza di ripassare matematica per l’esame un leggero paio di
occhiaie aveva circondato i suoi bellissimi occhioni dalle mille sfumature di
verde e di azzurro.
-One love, one life- ci accompagnava così la calda voce di Bono.
Iniziammo a dondolare, a girare attorno lentamente, come in quei balli
lenti che si vedono nei film romantici.
Le lancette dell’orologio segnavano già le 8:30, di lì a poco il mio
cellulare avrebbe squillato e mia madre mi avrebbe invitata a scendere per
ripartire.
Ogni volta era sempre una sofferenza, doverci lasciare; una settimana senza
vederci era sempre pesante, soprattutto in quel momento, in cui lui aveva
bisogno di tutto il mio sostegno.
Sapevo che era teso, preoccupato, ma non voleva darlo a vedere.
“Che c’è, piccola?” mi chiese lui, accarezzandomi il viso.
“Oh niente, è che…” sospirai “Lo sai amore, ogni volta che so di dover
andare via, pur essendo con te non riesco ad esser felice. Il pensiero che fra
qualche minuto non ti rivedrò più mi affligge”
Sorrise, anche se era uno di quei sorrisi finti, amareggiati. Mi strinse
forte a sé, baciandomi il collo.
Dalla grande finestra di fronte a noi i raggi del sole entravano fiochi,
inondando la stanza e creando un’atmosfera magica; era giusto il tramonto, il
cielo era di un’arancione acceso, tendente al rosso.
Quel leggero dondolio mi rilassava parecchio, ma questo lui lo sapeva bene.
Ogni volta che ero giù, mi faceva mettere i piedi sopra i suoi e,
muovendosi dolcemente, mi cullava accarezzando i miei lunghi capelli castani.
La canzone finì, seguita da un’altra, che per fortuna mantenne intatta
quell’atmosfera.
Dolcemente, scostò il mio volto dal suo petto, portandomi un dito al mento,
e lo alzò leggermente per guardarmi dritta negli occhi.
Arrossii leggermente, vergognandomi.
Quello scambio di sguardi così intenso mi faceva sempre sentire inferiore,
perché il mio non era ammaliante come il suo.
I miei occhi sono di un marrone scuro, color cioccolato, e raramente al
sole risalta qualche sfumatura color miele; non reggono mai il paragone con i
suoi, così stregati.
Mi ero quasi persa nel suo dolce sguardo, quando la sua voce mi riportò
alla realtà.
“Ti amo, piccola” mi sussurrò.
Lo so, sembra assurdo pensare che dopo più di un anno le mie gambe
tremarono ancora, ma fu così.
Avevo le farfalle allo stomaco mentre, con voce tremolante, risposi:
“Ti amo anch’io, mio cucciolo”
Cucciolo, si. Io lo chiamo sempre così. Lo considero un caso raro, non sono
molti i ragazzi che, vicini alla ventina, preservano ancora un carattere così
affettuoso e premuroso nei confronti dell’amata.
E così, sorridendomi ancora, portò le sue labbra, rosee e carnose, sulle
mie.
Il cuore mi balzò in gola, come la prima volta che le nostre bocche si
erano incontrate.
Fu un bacio lento, dolce e pieno d’amore; tutto l’amore che riuscivamo a
donarci in quel breve istante.
I suoi compagni tornarono dal piano di sotto, pronti a riprendere
l’esercitazione.
Lui, scostandosi da me, mi avvolse in un tenero abbraccio, poggiando il
braccio attorno alle mie spalle, e mi baciò la testa.
Fra un calcolo e l’altro il mio telefono squillò: eccomi, pronta a partire.
Mi accompagnò davanti alla porta, ma prima di aprirla e lasciarmi andare mi
rubò un ultimo bacio.
Era il pomeriggio di quel caldo lunedì 20 giugno 2011.
E si, questa è una fiaba, ma è la mia.
©Realtà
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